lunedì 26 agosto 2013

Scrivendo sulla storia n. 22 del 26 Agosto 2013


Calcio: partito il campionato. La lezione dei tifosi del Verona

  Sabato 24 Agosto alle 18.00 è cominciata ufficialmente la nuova stagione del calcio italiano. Per i tifosi si partiva con un provvedimento disciplinare (la chiusura al pubblico di parte dello stadio Olimpico di Roma) per punire alcuni cori razzisti che avevano accompagnato la sconfitta della squadra della Lazio nella finale di Supercoppa di qualche giorno prima. Il giorno prima del fischio di inizio, arriva la notizia della contestazione verso Mario Balotelli (giocatore di pelle nera) e verso altri giocatori del Milan, nel nome della difesa della “razza bianca”. Già in passato, durante alcune amichevoli, si erano verificati episodi simili, ed in quel caso i giocatori colpiti da insulti e cori razzisti, avevano prima fermato poi abbandonato il campo di gioco in segno di protesta, dicendosi psicologicamente provati e danneggiati dall'episodio. In una gara ufficiale un gesto simile avrebbe conseguenze gravissime per la squadra e per i calciatori, falsando palesemente i risultati del campionato.

foto tifosi VeronaInvece, il giorno della partita, ecco la trovata geniale che non ti aspetti: il pubblico dello stadio di Verona annuncia che accoglierà Balotelli e gli altri giocatori di colore del Milan a suon di applausi e cori di incitamento, per quanto avversari. E così lo strano pomeriggio del primo anticipo della giornata di calcio diventa un caso: la squadra di casa prima va in svantaggio, poi rimonta e addirittura vince con due gol del suo centravanti. Quello, insomma che più avrebbe dovuto subire l'offesa di veder applaudito dai propri tifosi il centravanti avversario. Balotelli gioca una partita insufficiente, arrancando sotto l'assordante rumore degli applausi e dei cori di incitamento, quanto mai immeritati.
A fine partita, entusiasmo e soddisfazione da parte dei calciatori veronesi, imbarazzo e irritazione (non solo per il risultato) da parte di quelli milanisti. E i difensori strenui della casta dei calciatori, in questo caso ci fanno una pessima figura. Il gesto dei tifosi veronesi ha infatti dimostrato che tutte le proteste, le lamentele dei danni e della propria dignità di uomini e di professionisti subiti era solo una scusa, una copertura per giustificare i limiti fisici e mentali di approccio ad una competizione ed allo sforzo fisco. Roba da comunissimi esseri umani.
Inoltre da Verona rinasce la consapevolezza che sono i tifosi ad avere nelle mani il futuro del calcio sano: la violenza ultras e la fuga di pubblico dagli stadi non si combatte con leggi marziali, contro-violenza o umilianti restrizioni. Ma con fantasia e spirito di sportività che nessun imbecille travestito da tifoso o bamboccione travestito da atleta riuscirà mai a sostituire. 



Questo post è stato pubblicato il 26 Agosto 2013 su Cervelliamo blog

venerdì 23 agosto 2013

Scrivendo sulla storia n. 21 del 23 Agosto 2013

  I quarant'anni dalla sindrome di Stoccolma.

La mattina del 23 agosto 1973 Jan Erik Olsson, 26 anni e diversi precedenti penali alle spalle, entrò armato in una banca che si affacciava su una delle principali piazze di Stoccolma tentando una rapina. Qualcuno dei presenti riuscì però a chiamare la polizia, ci fu uno scontro a fuco e il rapinatore si rifugiò con quattro ostaggi nel caveau dell'istituto. Per non uccidere gli ostaggi fece varie richieste, e di essere raggiunto da un suo ex compagno di cella. Così, poco dopo, il detenuto Clark Oluffsson venne liberato e inviato dentro il caveau con un telefono per permettergli di comunicare con le autorità.
Una volta all’ interno del caveau, secondo quanto raccontarono gli ostaggi, Oluffsson non si comportò come il complice di una rapina e sembrava intenzionato ad aiutare gli ostaggi come poteva. Inoltre durante il sequestro accaddero alcune cose che modificarono il rapporto tra ostaggi e rapinatori, Olufsson in particolare: il primo ministro svedese dell’epoca, Olof Palme, che conduceva personalmente la trattativa rivelò di aver saputo che durante il sequestro gli ostaggi si erano sentiti più minacciati dalla polizia che dai rapinatori.
Sindrome di Stoccolma
Il 28 agosto, cinque giorni dopo, la polizia invase il caveau con dei gas soporiferi, costringendo i rapinatori ad arrendersi. Al processo Olsson venne condannato a dieci anni per rapina a mano armata. Oluffsson, grazie alle testimonianze degli ostaggi che sottolinearono che non era stato complice in alcun modo e che aveva cercato in ogni modo di aiutarli, venne assolto.
Da allora il termine “sindrome di Stoccolma” viene utilizzato per descrivere il rapporto di complicità che a volte si crea tra ostaggi e rapitori. Per gli psicologi la sindrome di Stoccolma rappresenta un “caso particolare di legame traumatico”. Si tratta di quei legami, spesso molto forti, che possono nascere tra due persone quando una delle due gode di una posizione di potere nei confronti dell’altra e la intimidisce, la picchia o usa altri tipi di violenza nei suoi confronti.
L'FBI ha in seguito ammesso di aver istruito i propri negoziatori nei rapimenti con ostaggi affinché inducessero nei rapitori una qualche forma di sindrome di Stoccolma per aumentare le possibilità degli ostaggi di sopravvivere. 
 
Questo post è stato pubblicato il 23 Agosto 2013 su Cervelliamo blog

martedì 20 agosto 2013

Scrivendo sulla storia n. 20 del 20 Agosto 2013


Perchè non fidarsi dell'amico-di-famiglia

 Amico/1: Costantin è un muratore di trentanni. E' rumeno, è ortodosso praticante, ed è l'amico di famiglia del dicono della chiesa di SS. Martiri Romani di Ponte Mammolo, nel quartiere Tiburtino di Roma. E' una persona religiosa, affidabile. In questi giorni i suoi connazionali gli affidano i figli durante il loro orario di lavoro. Il diacono non lo sa, ma lui decide di metterne un po' in macchina e portarli tutti al mare, senza avvisare nessuno, Alle 16 i genitori denunciano la scomparsa dei loro due figli gemelli, Alexander e Sebastian di 6 anni. Scatta la caccia all'uomo con in peggiori presagi in mente, ma è tutto inutile. Solo in serata, Costantin ritorna ignaro in comunità e finisce a dover spiegare la sua bravata ai carabinieri di San Basilio. Finisce tutto li, dato che i genitori dei bambini dichiarano di non volerlo denunciare per sequestro di minore.
Amico/2: Mario è un muratore di 45 anni, che a Marzo 2006 fa bene il suo mestiere nella provincia di Parma. Tra i suoi clienti c'è Paolo, direttore delle poste. Diventano amici, mentre Mario gli ristruttura la casa. Poi pensa a fare di più: una sera, con un complice, a bordo di uno scooter, armati e mascherati, piombano nella villa dell'amico e rapiscono Tommaso, il figlio di 18 mesi della coppia. L'idea è un sequestro lampo, per costringere l'amico-cliente-vittima a svuotare la cassaforte dell'ufficio postale per rivere il piccolo, che è pure sofferente e febbricitante. Le cose vanno subito male. Durante una fuga, i due cadono dallo scooter, il bimbo piange e loro lo ammazzano. Mario partecipa alla farsa del dolore e delle ricerche, minaccia di voler fare giustizia con le sue mani dei rapitori, ma nessuno gli crede e nel giro di un mese i carabinieri lo arrestano, insieme alla sua compagna ed al complice di quella sera. Mario si rivela un amico, a suo modo. A chi ancora pietosamente spera in un finale diverso, rivela il posto sul greto del fiume dove hanno sepolto il piccolo Tommy. Solo ora l'opinione pubblica tocca con mano l'orrore umano.
Locandina film Sorrentino- Rizzo Amico/3: Geremia è un sarto di abiti da sposa, vive a Sabaudia, in una modesta abitazione con l'anziana madre, immobilizzata a letto. La attività di sarto è solo una copertura. In realtà è un usuraio spietato ed ha un rapporto morboso con il genere femminile. Tra i suoi clienti c'è un piccolo imprenditore, un padre che non ha i mezzi economici per il matrimonio della figlia, un'impertinente reginetta di bellezza. La ragazza vuole un matrimonio da favola, il padre non intende negargli l'ultima bugia e Geremia diventa così “l'amico di famiglia” . La mattina del matrimonio, con la scusa, lo strozzino pretende anche uno “jus primae noctis” dalla prossima sposa. Lei gli si concede, ma in in cambio pretende un drastico sconto sul tasso d'usura della somma prestata, e di cui era a conoscenza. L'amico di famiglia deve accettare, anche la famiglia (forse consapevole del torbido intrigo, forse no) accetta e ringrazia, ma questo colpo mina la scaltrezza dell'usuraio. Subito dopo viene truffato di tutti i suoi averi dai suoi stessi complici e con la morte della madre resta ancora più solo al mondo.
Sono tre storie, sono tre epoche diverse. L'ultima è frutto della fantasia di Paolo Sorrentino ed è la trama di un ottimo film del regista napoletano del 2006. L'interpretazione di Giacomo Rizzo-Geremia è strepitosa. A rifletterci l'amico di famiglia potrebbe essere chiunque intorno a noi. 
 
Questo post è stato pubblicato il 20 agosto 2013 su Cervelliamo blog

lunedì 19 agosto 2013

Scrivendo sulla storia n.19 del 19 Agsto 2013

Germania e Francia: venti di civiltà verso omosessualità ed ermafroditismo.

In Francia un tribunale amministrativo ha stabilito che una donna nubile omosessuale può adottare un bambino. Il tribunale amministrativo di Besançon ha concesso a una donna la possibilità di adottare un minore, annullando totalmente quella di un altro tribunale che per due volte le aveva negato.  
Già il Tribunale Europeo per i Diritti dell’Uomo aveva bocciato queste sentenze e richiamato la Francia a rivedere la legislazione, in quanto nel paese è previsto che un single o una coppia si possano candidare all’adozione di un minore. L'orientamento sessuale delle persone, secondo la Corte europea, non è un buon motivo per escludere la pratica di adozione. Nel paese transalpino, a livello politico e culturale, la vicenda ha riaperto il dibattito sull’omoparentalità e sull’adozione per le coppie omosessuali.
In Germania intanto, dal 1 Novembre prossimo i genitori potranno scegliere di non indicare il sesso del bambino nell’atto di registrazione all’anagrafe se il neonato presenterà caratteristiche sessuali dubbie, registrandoli come “neutri”, cioè non appartenenti né al genere femminile né a quello maschile. Da adulti gli ermafroditi potranno scegliere di optare per uno dei due sessi o rimanere indeterminati.
Simbolo Ermafroditismo
 In Europa un bambino su cinquemila al momento della nascita presenta sia gli organi genitali maschili sia quelli femminili e già da anni le associazioni di transessuali hanno condotto una battaglia per abolire la divisione binaria dei generi che porta a distanza di anni ad operazioni chirurgiche forzate.
Inoltre i transessuali, coloro che per scelta decidono di cambiare sesso, sono già riconosciuti dalla legge, mentre gli ermafroditi finora erano stati forzati a scegliere d’identificarsi con uno dei due sessi
La Corte Suprema di Karlsruhe infine ha definito incostituzionale la legge che impediva agli omosessuali di adottare i figli del proprio partner, considerandola discriminante verso la stessa possibilità prevista per le coppie eterosessuali.
Questi pronunciamenti stanno infiammando le speranze delle associazioni omosessuali e lesbiche, e spingono fortemente il premier Angela Merkel ed il suo governo ad approvare il matrimonio omosessuale che unitamente all’adozione di un bambino per una coppia omosessuale resta comunque illegale in Germania.
 
Questo post è stato pubblicato il 19 Agosto 2013 su Cervelliamo blog

venerdì 16 agosto 2013

Scrivendo sulla storia n.18 del 17 Agosto 2013

Morte di un neonato in alta montagna: com'è possibile e cosa dice la medicina.

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Il giorno dopo la morte a Torino di un bimbo di 8 mesi che si era sentito male il giorno di Ferragosto in Valgrisenche (Aosta), a quota 3.000 metri, ancora persistono gli interrogativi sulle cause della sua morte. I medici che lo hanno soccorso ed hanno provato a fronteggiare le quattro crisi cardiache che alla fine lo hanno vinto, non si pronunciano e velatamente parlano di malformazione congenita del piccolo. Certo non è dimostrabile che una malformazione congenita si sia verificata proprio quel giorno e che la stessa con la crescita del neonato, in altre condizioni atmosferiche, comunque si manifestasse o si risolvesse da sola .
A leggere sul web, nei tanti siti di help on line, le mamme si dividono tra quelle che prima di portare il proprio neonato in quota si preoccupano delle possibili conseguenze sulla salute del piccolo e quelle che ostentano le loro felici escursioni con neonato-al-seguito in alta quota, a dispetto di ogni consiglio o teoria pediatrica.
foto rifugio valgrienche
 Attualmente la letteratura medica offre scarsi dati riguardo questo argomento. I comportamenti da adottare per i bambini in alta quota possono essere estrapolati dal "Consensus Statement" definito nel marzo 2001 dalla International Society of Mountain Medicine di Basilea secondo cui “...ad un essere umano al di sotto dei tre anni di età un qualsiasi viaggio in ambiente diverso da quello abituale può creare alterazioni del sonno, dell’appetito, dell’alvo, dell’attività ed anche dell’umore... . Risulta difficile distinguere le alterazioni provocate dal viaggio rispetto a quelle causate dalla quota. Il rischio, nelle alte quote, di edema polmonare e cerebrale acuti, è uguale a quello riscontrato negli adulti ed avviene nelle medesime modalità. Unico problema è che il bambino, specie se molto piccolo, non può riferirne la sintomatologia”.
Nel neonato inoltre si deve tener conto dell’immaturità del meccanismo di controllo respiratorio e della diminuzione dello spessore della muscolatura dell’arteria polmonare. L’ipossia, infatti, deprime la ventilazione polmonare nel neonato e questo influisce soprattutto sul sonno. Ed è per questo che, in via precauzionale neonati e lattanti al di sotto dei 2 anni di età non dovrebbero sostare per lungo tempo oltre i 2000-2500 metri di quota. Per quanto riguarda l’alta quota, è sconsigliabile portare lattanti, almeno fino all’anno di età, per lungi periodi a quote intorno o superiori ai 3000 metri.
Chissà se i risultati dell'autopsia che sarà eseguita sul povero corpicino ci diranno qualcosa di più di quanto la letteratura medica non avesse invano provato finora a fare.
 
Questo post è stato pubblicato il 17 Agosto 2013 su Cervelliamo post

giovedì 15 agosto 2013

Scrivendo sulla storia n.17 del 15 Agosto 2013

Buon ferragosto ovunque voi siate. Anche in prigione per un esperimento.

Buon ferragosto, dunque. Ma cosa avete pensato davvero mentre festeggiavate il Ferragosto? Alla festa di ringraziamento tramandataci dal 18 secolo a.c. dall'imperatore Augusto per il proficuo raccolto dei campi attraverso un pranzo luculliano? O avete rinnovato il rito della purificazione dell'acqua a Roma, con chiusura ed allagamento di Piazza Navona e la conseguente orgia di secchiate (che oggi chiamavate gavettoni). Escludendo i riti cattolici dell'Assunta e della Vara o Bara (a Messina), nessuno sicuramente oggi ha pensato come potesse essere passare Ferragosto in carcere.
In carcere, si volontariamente. Non per aver commesso un crimine efferato, ma per celebrare il più celebre esperimento di psicologia sociale di sempre, cominciato quarant'anni fa nei sotterranei di una facoltà di psicologia e interrotto dopo soltanto sei giorni e mai più ripetuto.
Immagine dell'esperimento di StanfordFu nella calda estate del 1971 che un giovane professore di psicologia di 38 anni dell'Università di Stanford , Philip Zimbardo e il suo gruppo di ricercatori reclutarono 24 ragazzi bianchi, li sottoposero a dei test di stabilità psicologica e grazie al lancio di una monetina, assegnarono casualmente a ciascuno di loro il ruolo di “prigioniero” o di “guardia” in quello che diventerà il più celebre esperimento di psicologia sociale della storia. Oltre ai diciotto volontari coinvolti inizialmente, nove guardie e nove prigionieri, altri sei rimanevano disponibili nel caso fossero necessari rinforzi per le guardie o rimpiazzi per i prigionieri.
A sorpresa, il 14 agosto 1971 la metà di loro fu arrestata in casa dalla polizia di Palo Alto (che aveva accettato di collaborare con il dipartimento di psicologia dell’università di Stanford) con l'accusa di furto e rapina a mano armata. Gli arrestati furono registrati, bendati e trasferiti in un dipartimento dell'Università, nel frattempo camuffato da prigione senza finestre né orologi. Con tanto di sbarre di ferro e ad una estremità, uno sgabuzzino di sessanta centimetri per sessanta, “la cella d’isolamento”.
 Al suo arrivo ogni detenuto venne perquisito, denudato e rivestito solo di un camicione lungo di colore bianco, con davanti e dietro il numero di matricola personale di tre o quattro cifre, mimando le normali pratiche carcerarie. Invece di essere rasato, ad ognuno di loro venne messo in testa un copricapo ricavato da una calza di nylon. Alla caviglia destra gli venne chiusa con due lucchetti una pesante catena ad anelli di metallo che non sarebbe stata tolta in nessuna occasione, neppure durante la notte.
Le nove guardie, si alternavano in tre turni da otto ore, indossavano tutte la stessa divisa, avevano un fischietto al collo e avevano ricevuto un manganello in prestito dalla polizia. Le guardie non avevano avuto nessuna indicazione specifica su come comportarsi. Per mantenere l’ordine nella prigione potevano fare qualsiasi cosa purché non attentasse all’integrità fisica dei detenuti. L'esperimento era partito alla grande. E grande furono le vicissitudini e le sorprese: dopo i primi due giorni di pacifica convivenza tra pseudo-detenuti e pseudo-carcerieri, le regole scritte della prigione preparate con la supervisione degli psicologi che seguivano l’esperimento saltarono: si verificarono episodi di rivolta, ritorsioni punitive al limite del sadismo, casi di esercizio gratuito del proprio potere da parte dei carcerieri e crisi d'ira da parte dei prigionieri.
foto dell'esperimentoNessuno dei partecipanti all'esperimento rimase immune da quell'atmosfera: il sorgere di contrasti addirittura tra i componenti dell'equipe convinse sabato 20 agosto 1971, dopo soli sei giorni dei quattordici previsti, il professor Zimbardo ad interrompere l'esperimento, tra il sollievo dei prigionieri e l'insoddisfazione delle guardie.
I risultati dell’esperimento della prigione di Stanford furono pubblicati su diverse riviste scientifiche. Secondo le teorie del professor Zimbardo chiunque poteva essere spinto da un certo contesto a commettere abusi, ridimensionando le teorie su una eventuale “predisposizione” di alcuni individui ad esercitare l’autorità con violenza.
L’esperimento venne anche molto criticato negli ambienti della psicologia. Secondo alcuni di loro il comportamento dello psicologo, agendo da “sovrintendente capo” della prigione e indirizzando alcuni discorsi alle guardie, avrebbe falsato il loro comportamento e avrebbe dato troppe istruzioni implicite su come comportarsi.
Nel 2001, due professori di dell’università di Exeter e dell’università di St. Andrews, organizzarono un esperimento simile a quello di Stanford. L’esperimento durò nove giorni, due meno del previsto, e le cose andarono in modo del tutto diverso rispetto allo studio di trent’anni prima: le guardie non si adattarono mai facilmente ai loro ruoli e i prigionieri si ribellarono il sesto giorno riuscendo a prendere il controllo della situazione, ma gli attriti all’interno del gruppo dei detenuti portarono a un nuovo regime in cui alcune guardie si coalizzarono con alcuni detenuti. Si creò quindi un sistema tirannico simile a quella della prigione di Stanford, e anche qui i supervisori decisero di interrompere l’esperimento.
Ad oggi l’eredità dell’esperimento di Stanford è ancora attuale: come dimenticare le immagini e le notizie degli abusi sui prigionieri iracheni da parte delle guardie statunitensi del carcere di Abu Ghraib, di Guantanamo e le denunce delle violenze ed abusi subite oltre ogni misura da alcuni detenuti oggi?
Intervistato recentemente, il dottor Zimbardo ammette ancora oggi che il Ferragosto (e l’esperimento) di quarant’anni fa lo hanno cambiato per sempre. 

Questo post è stato pubblicato il 15 Agosto 2013 su Cervelliamo blog