L'infibulazione è una mutilazione genitale femminile. Ha origine esclusivamente culturale, e oggi è adottata e praticata soprattutto in molte società in Africa, nella penisola araba e nel sud-est asiatico. Consiste nell'asportazione della clitoride (escissione), delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra vaginali con cauterizzazione, cui segue la cucitura della vulva, lasciando aperto solo un foro per permettere la fuoriuscita dell'urina e del sangue mestruale. La pratica dell'infibulazione ha lo scopo di conservare e di indicare la verginità al futuro sposo e di impedire alla donna di provare piacere durante l'amplesso con il coniuge. I rapporti sessuali, attraverso questa pratica, vengono impossibilitati fino alla defibulazione (cioè alla scucitura della vulva), che in queste culture, viene effettuata direttamente dallo sposo prima della consumazione del matrimonio. Dopo ogni parto viene effettuata una nuova infibulazione. La donna perde la possibilità di provare piacere sessuale a causa della rimozione della clitoride ed i rapporti diventano dolorosi e difficoltosi, spesso insorgono cistiti, ritenzione urinaria e infezioni vaginali. Ulteriori danni si hanno al momento del parto: il percorso tortuoso che il feto deve compiere toglie ossigeno al cervello, rischiando di causare danni neurologici. Inoltre è frequente la rottura dell'utero durante il parto, con conseguente morte della madre e del bambino.
Nel
mondo sono oltre 125 milioni le bambine e le donne sottoposte a
mutilazioni genitali femminili; una su cinque vive in Egitto. Nei
prossimi dieci anni 30 milioni di bambine ed adolescenti rischiano di
subire ancora questa pratica.
Lo denuncia “Female
Genital Mutilation/Cutting: a
statistical overview and exploration of the dynamics of change”
un rapporto dell’Unicef pubblicato
in questi giorni ed elaborato sulla base di 70 indagini
rappresentative a livello nazionale nell’arco di 20 anni.
L'indagine condotta in 29 paesi tra l’Africa e il Medio Oriente in
cui è ancora in uso la pratica delle mutilazioni genitali femminili,
rilevano che, seppure rispetto a 30 anni fa a pratica è in declino
anche in Egitto e Sudan, e nonostante la metà dei 29 paesi osservati
registri una diminuzione delle mutilazioni, persiste il comune senso
di obbligo sociale che perpetua questa pratica, oltre alla falsa
convinzione che “il mondo civile” appoggi la pratica delle
mutilazioni. Anche
Paesi come Somalia, Guinea, Gibuti registrano un’alta frequenza di
mutilazioni. In questi paesi più di nove donne e bambine su 10 tra i
15 e i 49 anni hanno subito mutilazioni. E l'ennesimo dato che
allarma di più è che c’è stato alcun calo significativo in paesi
come Ciad, Gambia, Mali, Senegal, o Yemen.
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