mercoledì 11 settembre 2013

Scrivendo sulla storia n. 28 dell'11 settembre 2013

Anniversari che non si dimenticano: aspettando l'11 settembre /4

In quella terribile mattina dell'11 settembre 2001, quando il più grave attentato terroristico della storia degli Stati Uniti venne portato a termine da quattro commando di terroristi arabi, 19 in tutto, solo uno dei quattro aerei dirottati dai fanatici islamici non giunse a colpire il bersaglio prefissato, e questo fu per merito della eroica rivolta dei passeggeri.
La vicenda del volo n.93 della United Airlines, in servizio tra New York e Los Angeles, è ormai chiara nelle sue linee generali.
Locandina film United 93E' ormai chiaro che i 33 passeggeri e i 7 membri dell'equipaggio di quel volo furono informati di quanto stava accadendo sugli altri tre veivoli dirottati dai terroristi, e capirono che il loro aereo era stato anch'esso dirottato per scagliarsi contro un bersaglio simbolico. Nonostante le frasi menzognere e tranquillizanti che un dirottatore rivolgeva a loro per tenerli sotto controllo, si resero conto che a loro restava una sola, estrema possibilità di sventare il piano criminale. 
Alla testa del contro-commando si posero Tom Burnett e Tod Beamer: il piano era aggredire all'improvviso i terroristi, disinnescare la bomba e penetrare nella cabina di pilotaggio per prendere il controllo dell'aereo facendolo deviare dal bersaglio.
I passeggeri riuscirono a neutralizzare e forse anche uccidere due terroristi, quelli che sostavano fuori dalla cabina e servendosi degli estintori di bordo come armi di fortuna, e a lanciare l'assalto alla cabina di pilotaggio nella quale gli altri due avevano intanto sopraffatto ed ucciso i due piloti del volo di linea, e si apprestavano ad lanciare l'aereo come una bomba kamikaze verso un obiettivo simbolico della civiltà occidentale, probabilmente la Casa Bianca o il Congresso.
Le registrazioni sonore di quei minuti di grida concitate e urla di vittoria, testimoniano che lo scontro fu fino all'ultimo respiro, in un'assurda improvvisata battaglia corpo a corpo tra passeggeri e terroristi.
Anche il modo in cui si concluse fu esso assurdo, ingiustificabile come tutto il resto: pur di non desistere dal loro folle gesto, i dirottatori puntarono l'aereo in picchiata, disintegrandosi nell'impatto al suolo.
Cinque anni dopo il dramma della Pennsylvania, il dramma è stato rievocato in un film americano, United 93 che ha avuto notevole successo e che descrive bene anche lo sconcerto e l'impaccio delle autorità civili e militari, che non sanno come affrontare un'emergenza così anomala e imprevista.

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martedì 10 settembre 2013

Scrivendo sulla storia n. 27 del 10 settembre 2013

Anniversari che non si dimenticano: aspettando l'11 settembre /2

Ci sono date, anniversari che non si dimenticano, e che ogni volta che ricorrono riportano alla mente una o cento storie. Storie anche non clamorose, ma nel complesso tutte le storie contribuiscono a rendere l'avvenimento indimenticabile. Al centro di esse ci sono sempre uomini e non che con il loro operato, o con la sola presenza, hanno scritto la storia. E probabilmente hanno reso quelle date indimenticabili.
Dan Holdridge l'11 settembre 2001 era al lavoro dentro al Pentagono come appaltatore ed era un giornata bellissima, piena di sole. Quel mattino, andò al lavoro in ritardo, a causa di una teleconferenza a cui aveva dovuto partecipare. Era l'appuntamento settimanale del martedì, ma in quella settimana fu anticipata al martedì. E questo probabilmente gli salvò la vita. Si stava incamminando con il suo collega Bobby verso il Naval Command Center, la sede media del Pentagono. Avevano appena saputo dei due aerei che si erano schiantati a New York contro le Twin Tower. Ad un certo punto, diretto al suo collega esclamò: “cos'altro deve ancora succedere, oggi? Attaccheranno pure il Pentagono?” In quel momento un'esplosione li sollevò entrambi, scaraventandoli lontano. Dan pensò che sarebbe morto. Si guardò attorno, riuscì a vedere Bobby gravemente ferito, e si rassegnò. Invece, subito dopo il personale di sicurezza del Pentagono venne per evacuare le persone, che furono portate in un'area dove venivano assegnate le priorità mettendo dei nastri al polso. Un nastro verde per chi non era in pericolo di vita; fu il colore che ricevette Dan. Nastro giallo significava la necessità di cure rapide ma che se la sarebbe cavata, e fu il colore che ricevette Bobby. Nastro rosso per quelli in pericolo di vita. L'ultimo, il nastro nero per chi era morto.
Mentre era in quest'area Dan sentiva odore di carne bruciata, sentiva i lamenti delle vittime, ma anche altra gente che urlava:”Dove posso donare il sangue? Dove posso donare il sangue?” Il grande spirito dell'America si era già messo in moto, nonostante l'immane tragedia.
Dopo le prime sommarie cure, Dan e Bobby furono abbandonati seduti al lato della strada, quando arrivò un grosso SUV con una donna alla guida. Si chiamava Erin Anderson, e, nonostante nessuna macchina era autorizzata a muoversi attorno al Pentagono in quel momento, li caricò a bordo e li portò all'ospedale. Durante il viaggio Dan ebbe appena la forza per dire “Grazie molte di averci caricato.” Lei si volse,lo guardò dritto negli occhi e disse:“Non so perché sono qui. Ero seduta in casa e ho sentito di dover aiutare qualcuno”.
Da quel giorno, Dan impiega il suo tempo tenendo conferenze su quanto ha vissuto. In ogni scuola, in ogni azienda in cui è chiamato a ricordare il suo 11 settembre, ricorda che “tutti abbiamo una Erin Anderson dentro di noi. Tutti abbiamo la capacità, quando succede qualcosa, di alzarci e di trovare l'eroe dentro di noi e offrire il nostro aiuto. Non serve un altro 11/9, dobbiamo soltanto uscire a cercare chi ha bisogno di noi”.


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lunedì 9 settembre 2013

Scrivendo sulla storia n. 26 del 9 settembre 2013

Anniversari che non si dimenticano: aspettando l'11 settembre / - 2

Ci sono date, anniversari che non si dimenticano, e che ogni volta che ricorrono riportano alla mente una o cento storie. Storie anche non clamorose, ma nel complesso tutte le storie contribuiscono a rendere l'avvenimento indimenticabile. Al centro di esse ci sono sempre uomini e non che con il loro operato, o con la sola presenza, hanno scritto la storia. E probabilmente hanno reso quelle date indimenticabili.
Quando vide il primo aereo arrivare, Tania si trovava al 96esimo piano della torre Sud del World Trade Center, dove era impiegata. Dichiarò che temendo per la sorte del suo promesso sposo Dave, che lavorava nella torre Nord, si precipitò fino al 78esimo piano per avvertirlo. 
Intanto alle 9 e 03 dell'11 settembre 2001 un secondo aereo, anch'esso dirottato, da li a poco avrebbe impattato contro la torre Sud che poco dopo si sarebbe disintegrata al suolo. La corsa le salvò la vita, ma non riuscì a salvare il suo Dave. Per sei anni, fino al 2007, la loro storia commovente, quell'amore spezzato e la fuga dalla morte di Tania Head hanno riempito le cronache di tutto il mondo.
Tania fu eletta presidente di un' associazione dei sopravvissuti agli attacchi terroristici. E' stata ricevuta da Rudolph Giuliani e Michael Bloomberg, sindaci di New York. La sua storia è stata presa a esempio tra mille vicende legate all’11 settembre.
Foto attentato 11 settembrePeccato che fosse tutto falso. E che lei sulle Torri Gemelle non ci fosse mai stata, non aveva mai avuto alcun Dave né altri cari scomparsi nell’incidente. Un bluff totale, frutto forse della follia, magari ispirato da un morboso desiderio di notorietà.
Nessuno aveva mai avuto ragioni per dubitare della sua storia, una delle tante sfaccettature di una tragedia planetaria. Almeno fino al 2007, quando un giornalista del New York Times, incaricato di scrivere un articolo su di lei le rivolse qualche domanda in più. Domande alle quali Tania Head non fu in grado di rispondere e che permisero di appurare che la donna non aveva mai lavorato alle Twin Towers, né stava per sposarsi. Che l’11 settembre del 2001 si trovava a Barcellona, in Spagna, sua città natale, trattandosi in realtà di tale Alicia Esteve. Alicia alias Tania, per un suo disturbo della personalità, aveva bisogno di essere al centro dell’attenzione. Aveva studiato negli Stati Uniti e deciso di tornarci nel 2001: appena in tempo per calarsi nel personaggio-Tania. Subito dopo il 2007, senza fornire alcuna spiegazione per l’accaduto, la donna si è eclissata. Ma a undici anni dalla tragedia, le sue tracce sono riemerse: Alicia Esteve aveva trovato lavoro a Barcellona, ma quando nell'aprile 2012 il video-choc sulla sua storia è uscito negli Usa, la società ha deciso di licenziarla. E la follia di Alicia-Tania è di nuovo esplosa. La donna ha accusato i responsabili di essere insensibili per «aver cacciato una vittima del terrorismo internazionale». Eppure, sul suo curriculum utilizzato in Spagna, vantava ancora di essere stata presidente dell’Associazione sopravvissuti agli attentati del World Trade Center.
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domenica 8 settembre 2013

Scrivendo sulla storia n. 25 del 8 Settembre 2013

 

Anniversari che non si dimenticano: aspettando l'11 Settembre (-4)

Ci sono date, anniversari che non si dimenticano, e che ogni volta che ricorrono riportano alla mente una o cento storie. Storie anche non clamorose, ma nel complesso tutte le storie contribuiscono a rendere l'avvenimento indimenticabile. Al centro di esse ci sono sempre uomini e non che con il loro operato, o con la sola presenza, hanno scritto la storia. E probabilmente hanno reso quelle date indimenticabili.
Torri GemelleAllo scoccare del tragico anniversario dell'11 settembre 2001, quando quattro aerei civili furono dirottati da un commando-suicida di terroristi musulmani e due di questi abbatterono le Torri Gemelle di New York, provocando oltre tremila morti, l'America ricorda tutti i suoi morti e gli eroi, anche quelli a quattro zampe.
Perché a lavorare tra le macerie di Ground Zero vi furono anche decine e decine di cani da soccorso, utilizzati prima per cercare superstiti, poi per recuperare ciò che rimaneva di loro. Testimoni inestimabili in una delle più grandi tragedie vissute negli ultimi anni da tutta l'umanità il loro lavoro fu a dir poco prezioso, e centinaia di familiari non avrebbero trovato la pace del ricongiungimento, in qualsiasi modo, di un membro della propria famiglia o di un amico.
Da quell'11 settembre 2001 i cani di soccorso hanno lavorato per giorni al fianco di vigili del fuoco, protezione civile, soccorritori sanitari, forze dell'ordine instancabilmente, senza mai fermarsi, nell'area di Ground Zero fatta di fumo penetrante, odori acri, polvere e rumore, su turni estenuanti di otto o dieci ore.
Unici nel riconoscere grazie al loro olfatto in un brandello deforme o in un pezzo di metallo dalla forma di cartone per la pizza i miseri resti di un essere umano fuso dall'infernale incendio che precedette il crollo, le povere bestie, raccontano i loro conduttori, impazzivano letteralmente in quei momenti, non riuscendo a spiegarsi cosa fosse quell' insieme di materiali. E per questo, come tutti i soccorritori, dopo il loro turno di lavoro, venivano portati in un parco a rilassarsi, come se anche i loro proprietari volessero togliere loro di dosso l’odore acre della morte.
Oggi molti di quei cani non ci sono più. Alcuni di loro sono morti di tumori rarissimi, e questo fa pensare che siano stati esposti a qualcosa di fortemente tossico.
Dei circa 100 leali cani da ricerca che lavorarono tra le macerie, solo una dozzina circa era ancora vivi nel decennale dell’evento. Le loro fatiche, l'orrore di quei giorni si possono ancora vedere nei loro occhi, immortalati per sempre da Charlotte Dumas in un libro fotografico intitolato “Retrieved”.


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mercoledì 4 settembre 2013

Scrivendo sulla storia n. 24 del 4 Settembre 2013

Cento anni dalla nascita di Kenzo, l'ideatore del Centro Direzionale di Napoli

Il 4 settembre 1913 a Osaka nasceva Kenzo Tange. Architetto, urbanista, grazie ai lavori di Le Corbusier si iscrive alla Facoltà di architettura di Tokyo nel 1935 ,nel 1946 ne diventa uno dei professori e nel 1949 vince il concorso per la realizzazione del Memoriale della Pace a Hiroshima. A partire dagli anni sessanta, si dedica maggiormente all'urbanistica e progetta il Piano per Tokyo, una mega struttura costruita nella baia della capitale, formata da isole artificiali collegate alla terraferma da ponti.
La maggior parte dei suoi progetti sono stati realizzati in Giappone, ma anche in Italia ha ideato e costruito colossali opere innovative e discusse quali le torri del Quartiere Fieristico di Bologna, il quartiere Librino di Catania e il Centro Direzionale di Napoli.
Il Centro DIrezionale di NapoliRicavato da un'area industriale dismessa di circa 110 ettari, il Centro Direzionale di Napoli è adibito prevalentemente ad uffici, nell'intento dichiarato anche di decongestionare il traffico del centro cittadino. Nel 1982 il progetto venne affidato all'architetto giapponese e circa tre anni dopo si avviarono i cantieri. 
La costruzione dei grattacieli venne affidata tra gli altri a Renzo Piano che disegnò il palazzetto dell'Olivetti, a Massimo Pica Ciamarra che si occupò delle due Torri ENEL e a Nicola Pagliarache progettò le Torri del Banco di Napoli oltre che il Palazzo dell'Edilres.
All'interno del Centro Direzionale la maggior parte degli edifici è contrassegnata da una codifica binaria composta da una lettera da A a G e da un numero: la lettera indica l'isola, il numero il lotto all'interno di quell'isola. Per alcuni edifici, invece, si usano i nomi.
Il Centro Direzionale di Napoli costituisce una delle più estese e importanti opere cittadine realizzate negli ultimi decenni rappresentando ad oggi il più esteso e imponente agglomerato urbano di grattacieli italiani e dell'Europa meridionale.
L'opera è costantemente al centro di critiche da parte dei sui stessi abitanti per il degrado in cui versa la sua area sottostante, per i problemi di manutenzione stradale e delle scale mobili. Recenti studi hanno dimostrato inoltre che tutta l'area su cui è costruito il Centro Direzionale di Napoli sprofonda di qualche centimetro ogni anno a causa della presenza di falde acquifere che tuttavia non dovrebbero compromettere la stabilità delle strutture.
Per l'occasione oggi Google ha disegnato un doodle per celebrare il centenario della nascita del grande architetto, visibile però solo sulle pagine della versione giapponese del motore di ricerca.

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lunedì 2 settembre 2013

Scrivendo sulla storia n. 23 del 2 Settembre 2013

Le lava-lamp compiono cinquantanni e sono ancora in commercio. Ve le ricordate?

Sono passati cinquantanni da quando è cominciata la produzione e diffusione. Tutti noi ne abbiamo comprato una, o ne abbiamo ricevuta una in regalo. Ma sono sicuro che a distanza di mezzo secolo, nessuno ancora sa come funzionava, una lava-lamp. Ma si, certo, le lava-lamp, quei meravigliosi oggetti luminosi di arredamento di forma cilindrica o conica, costituita da una struttura esterna trasparente in cui un liquido fosforescente andava su è giù continuamente, creando suggestivi effetti di forme, di colore e soprattutto, di luce.
Il 1 Settembre 1963 l’inglese Edward Craven Walker attraverso la neonata Mathmos ltd aveva cominciato a produrre in larga scala la sua invenzione che aveva chiamato lava lamp: il principio di funzionamento era affidato ad una piccola quantità di cera colorata immersa in un liquido colorato, illuminato e riscaldato da una lampadina posta alla base. Il calore emanato dalla lampada spingeva la cera verso l’alto e raffreddandosi, ricada di nuovo scomposta in vari pezzi verso il basso, per poi ricominciare. Sembra cosa da poco, ma sappiate che la lava lamp diventò un oggetto di design di culto e uno dei molti simboli degli anni Sessanta e Settanta. Ringo Starr, il batterista dei Beatles, era un collezionista accanito di lava lamp. 
Modelli di Lava LampA metà degli anni Sessanta la lampada comparve in due serie televisive inglesi all’epoca molto seguite: Doctor Who e The Prisoner. Pur avendo in tv il ruolo di complementi di arredo, le coloratissime lampade erano in forte contrasto con gli interni ed i mobili dai toni neutri e poco evidenti, animando di vita e colore il set: pian piano cominciarono a diffondersi insieme a un’idea di modernità e alle nuove culture pop più giovanili e vivaci. La lava lamp vi associava anche un’estetica che si ispirava alle esperienze aeronautiche-spaziali della space age, molto popolare allora grazie al grande successo della letteratura e del cinema di fantascienza.
Dopo periodi di vendita alternati, negli anni Novanta le lampade tornarono a vendere bene, anche meglio di quanto avessero fatto negli anni Sessanta, grazie a corsi e ricorsi delle mode e del vintage.
Il metodo di produzione negli anni è rimasto molto simile a quello originale: alcuni macchinari producono il contenitore, mentre il liquido e la cera sono versati da un operaio, che ne può riempire fino a 400 in una giornata e mezza di lavoro. Una lava lamp originale oggi può costare da 55 sterline (circa 64 euro) in su.

Questo post è stato pubblicato il 4 settembre 2013 su Cervelliamo blog