Anniversari che non si dimenticano: aspettando l'11 Settembre (-4)
Ci
sono date, anniversari che non si dimenticano, e che
ogni volta che ricorrono riportano
alla mente una
o cento
storie. Storie
anche non
clamorose,
ma nel complesso tutte le storie contribuiscono a rendere
l'avvenimento indimenticabile.
Al centro di esse ci sono sempre uomini
e non che con
il loro operato, o con la sola presenza, hanno scritto la storia. E
probabilmente hanno
reso quelle date indimenticabili.
Allo
scoccare del tragico anniversario dell'11
settembre 2001, quando quattro aerei civili furono dirottati da un
commando-suicida di terroristi musulmani e due di questi abbatterono
le Torri Gemelle di New York, provocando oltre tremila morti,
l'America
ricorda
tutti
i
suoi morti
e gli
eroi,
anche
quelli a quattro zampe.
Perché
a
lavorare tra le macerie di Ground Zero vi furono anche
decine
e decine di cani
da soccorso,
utilizzati prima
per cercare superstiti, poi per recuperare ciò che rimaneva di loro.
Testimoni
inestimabili in una delle più grandi tragedie vissute negli ultimi
anni da
tutta l'umanità il loro lavoro fu a dir poco prezioso,
e
centinaia
di familiari non avrebbero trovato la pace del
ricongiungimento,
in qualsiasi
modo,
di un membro della propria
famiglia
o di un amico.
Da
quell'11 settembre 2001 i
cani di soccorso hanno lavorato per
giorni al
fianco di
vigili del fuoco, protezione civile, soccorritori sanitari, forze
dell'ordine instancabilmente,
senza mai fermarsi, nell'area
di Ground
Zero fatta di fumo penetrante, odori acri, polvere e rumore, su turni
estenuanti di otto o dieci ore.
Unici
nel riconoscere grazie
al loro olfatto in un
brandello deforme o in
un pezzo
di metallo dalla forma di
cartone per la pizza
i
miseri
resti
di un essere umano fuso dall'infernale incendio che precedette il
crollo, le povere bestie, raccontano i loro conduttori, impazzivano
letteralmente in quei momenti, non riuscendo a spiegarsi cosa
fosse quell'
insieme di materiali. E per questo, come tutti i soccorritori, dopo
il loro turno di lavoro, venivano portati
in un parco a rilassarsi, come se anche i loro proprietari volessero
togliere loro di dosso l’odore acre della morte.
Oggi
molti
di quei cani non ci sono più. Alcuni di loro sono morti di tumori
rarissimi, e
questo
fa pensare che siano stati esposti a qualcosa di fortemente tossico.
Dei
circa 100 leali cani da ricerca che lavorarono tra le macerie, solo
una dozzina circa era ancora vivi nel decennale dell’evento. Le
loro fatiche, l'orrore di quei giorni si possono ancora vedere nei
loro occhi, immortalati per sempre da Charlotte Dumas in un libro
fotografico intitolato “Retrieved”.
Questo post è stato pubblicato l'8 settembre 2013 su Cervelliamo blog
Nessun commento:
Posta un commento