Dimenticare Detroit
Detroit
è fallita, sepolta da 18 miliardi di dollari di debiti sotto forma
di obbligazioni municipali emesse che non saranno più ripagate. Migliaia
di dipendenti pubblici rischiano il licenziamento, le pensioni
sociali saranno ridotte e l'assistenza sanitaria pure. Mai finora era
successo una cosa simile ad una città-simbolo dell'America: la città
che nel 1908 aveva messo su strada la prima Ford T, che negli
anni “50 battezzò con la casa discografica Motown artisti
come Jackson 5, Stevie Wonder e
Diana Ross, che il 23 luglio 1967 ha sbattuto in
faccia al mondo le sue contraddizioni razziali in cinque giorni di
guerriglia urbana che lasciarono 43 morti (il più piccolo
aveva 4 anni il più vecchio 82), 467 feriti, oltre 7. 000
arresti, 2.500 negozi saccheggiati, 412 palazzi
in fiamme. Ora quella città, a differenza dei suoi colossi
automobilistici (Ford, Chrysler e
General Motors) si è arresa alla crisi e chiede protezione dai
creditori congelando i propri debiti (ed i relativi interessi),
invocando l'articolo 9 della legge fallimentare americana. L'America
per ora non teme l'effetto che definiscono -palla di neve-
espressione che meglio non potrebbe rendere l'idea dei suoi
disastrosi effetti.
Tutto
il mondo sta a guardare, nessuno lo dice, ma,
se
dovesse accadere anche da
noi?
In
Italia tecnicamente
non sarebbe possibile. Il dissesto
finanziario, parola solo
in apparenza più gentile,
che
può colpire una pubblica amministrazione che
non può onorare i debiti, non
comporta rischi per i pubblici dipendenti (assunti con contratto
nazionale) né per gli amministratori. I
servizi pubblici
verrebbero comunque
garantiti, sulla
carta. Il
2013 però, potrebbe essere l'anno
del disastro per almeno 50
amministrazioni di
alcune grandi città o
capoluoghi
di provincia. Negli
ultimi due anni le richieste di commissariamento sono passate da
una-due l'anno a 25.
Dal
1989,
anno dell'entrata
in vigore della normativa con
l'istituto
del dissesto finanziario, sono stati 460
i comuni finiti sottosopra,
di
cui la maggior parte in Calabria e in Campania, traditi
da entrate
finanziarie
solo
ipotetiche, contrapposte
a spese, ahimè, reali,
tanto
da aprire
buchi
di
bilancio enormi.
E'
accaduto
un anno fa per Alessandria, il primo capoluogo i provincia la cui
insolvenza è stata accertata dalla Corte dei conti, e prima ancora
per Taranto o Enna. Fanno
tremare la situazione finanziaria di grandi capoluoghi-città
metropolitane come
Reggio Calabria (con
debiti accertati di
679 milioni), Napoli (850 milioni), Catania, Caserta, Messina,
Palermo. Ma non c'è solo il Sud. A Siena il bilancio è in
rosso di
oltre 300 milioni, a Parma di 800 milioni, a Torino e Milano i debiti
sono
già oltre
3 miliardi, a Roma circa 10. Ma
per gli amministratori l'imperativo è: ignorare l'esempio USA,
dimenticare Detroit.
Questo post è stato pubblicato il 24 Luglio 2013 su Cervelliamo blog
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