Morte di un neonato in alta montagna: com'è possibile e cosa dice la medicina.
Il
giorno dopo la morte
a Torino di
un
bimbo di 8 mesi che si era sentito male il
giorno di Ferragosto in Valgrisenche (Aosta), a quota 3.000 metri, ancora
persistono gli interrogativi
sulle cause della sua morte. I medici che lo hanno soccorso ed hanno
provato a fronteggiare le quattro
crisi cardiache che alla
fine lo hanno vinto, non si pronunciano e velatamente parlano
di malformazione congenita del
piccolo.
Certo non
è dimostrabile che
una malformazione congenita si sia verificata proprio quel giorno e
che
la stessa con la crescita del neonato, in altre condizioni
atmosferiche, comunque
si
manifestasse
o
si
risolvesse
da sola
.
A
leggere sul web, nei tanti siti di help on line, le mamme si
dividono tra quelle che prima di
portare il proprio neonato in quota si
preoccupano delle
possibili conseguenze sulla
salute
del piccolo e quelle
che
ostentano
le loro felici escursioni con neonato-al-seguito in alta quota, a
dispetto di ogni consiglio o teoria pediatrica.
Attualmente la letteratura medica offre scarsi dati riguardo questo argomento. I comportamenti da adottare per i bambini in alta quota possono essere estrapolati dal "Consensus Statement" definito nel marzo 2001 dalla International Society of Mountain Medicine di Basilea secondo cui “...ad un essere umano al di sotto dei tre anni di età un qualsiasi viaggio in ambiente diverso da quello abituale può creare alterazioni del sonno, dell’appetito, dell’alvo, dell’attività ed anche dell’umore... . Risulta difficile distinguere le alterazioni provocate dal viaggio rispetto a quelle causate dalla quota. Il rischio, nelle alte quote, di edema polmonare e cerebrale acuti, è uguale a quello riscontrato negli adulti ed avviene nelle medesime modalità. Unico problema è che il bambino, specie se molto piccolo, non può riferirne la sintomatologia”.
Attualmente la letteratura medica offre scarsi dati riguardo questo argomento. I comportamenti da adottare per i bambini in alta quota possono essere estrapolati dal "Consensus Statement" definito nel marzo 2001 dalla International Society of Mountain Medicine di Basilea secondo cui “...ad un essere umano al di sotto dei tre anni di età un qualsiasi viaggio in ambiente diverso da quello abituale può creare alterazioni del sonno, dell’appetito, dell’alvo, dell’attività ed anche dell’umore... . Risulta difficile distinguere le alterazioni provocate dal viaggio rispetto a quelle causate dalla quota. Il rischio, nelle alte quote, di edema polmonare e cerebrale acuti, è uguale a quello riscontrato negli adulti ed avviene nelle medesime modalità. Unico problema è che il bambino, specie se molto piccolo, non può riferirne la sintomatologia”.
Nel
neonato inoltre si deve tener conto dell’immaturità del meccanismo
di controllo respiratorio e della diminuzione dello spessore della
muscolatura dell’arteria polmonare. L’ipossia, infatti, deprime
la ventilazione polmonare nel neonato e questo influisce soprattutto
sul sonno. Ed è per questo che, in via precauzionale neonati
e lattanti al di sotto dei 2 anni di età non
dovrebbero
sostare per lungo tempo oltre i 2000-2500 metri di quota. Per quanto
riguarda l’alta quota, è sconsigliabile
portare lattanti, almeno fino all’anno di età, per lungi periodi a
quote intorno o superiori ai 3000 metri.
Chissà
se i
risultati
dell'autopsia
che
sarà
eseguita sul povero corpicino ci
diranno qualcosa di più di quanto la letteratura medica non avesse
invano provato finora a fare.
Questo post è stato pubblicato il 17 Agosto 2013 su Cervelliamo post
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